06 dicembre 2006

Don Oreste Benzi e la felicità


Credo che il nostro rapporto con Dio non possa avere altro fine che quello di cercare la felicità, la giustizia, la pace in questo mondo e nella vita ultraterrena. Esistono molti modi di rapportarsi con Lui, sono le varie religioni, ma il fine non cambia.

LA FELICITA'

Qualche giorno fa, parlando con Don Oreste Benzi (fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII) gli ho chiesto quando, secondo lui, un uomo è felice. Mi ha risposto: “un uomo è felice quando il suo essere incontra il suo io”. Ha proseguito: “Questo ‘io’ lo conosce veramente solo Dio, e solo attraverso di lui possiamo trovarlo”.

Mi sembra davvero un bello spunto per riflettere sul nostro modo di vedere la vita e di cercare la via per la felicità. Non credo sia solo il punto di vista di un anziano prete di campagna, mi sembra davvero un modo “ecumenico” di vedere il nostro rapporto con Dio.

Nel nostro 'io' si trovano la realizzazione, la felicità, la pace e la serenità di ognuno di noi. Perché non cercarlo assiduamente?

09 novembre 2006

Trascendere


L’aspetto trascendentale della vita, ovvero quello che va al di là di ciò che vediamo e tocchiamo, è un argomento spesso dimenticato e non approfondito da molti. Intendo, in modo particolare, il rapporto che abbiamo con un’eventuale figura divina, che in genere chiamiamo Dio, il Creatore.

Ci tengo a precisare che sono cristiano cattolico, per cui non posso scrivere prescindendo dal mio credo, ma mi piace cercare di ragionare su questo aspetto in modo oggettivo e il più possibile generale.

Credo che sia un arricchimento conoscere chi crede in altre religioni o chi si dichiara ateo e discutere di tutto ciò che riguarda la trascendenza (che significa “andare oltre”).

LE RELIGIONI

Il termine religione proviene dal latino religo, che significa “legare insieme”, in pratica lo usiamo per definire il rapporto tra uomo e Dio.

Nella capacità di intendere dell’uomo sono insite alcune domande “esistenziali” come: “perché sono qui?”, “cosa c’è dopo la morte?”, “chi ha creato l’universo?”, “chi regola le forze della natura?”. Una risposta semplice e logica è data dalla presenza di una o più entità superiori e di uno o più mondi trascendenti.

Ogni religione in questo dà le sue risposte e ciascuno di noi ha le proprie dentro sé.

La religione è quindi un mezzo per conoscere, avvicinarsi e comunicare con Dio, che nella maggior parte dei casi viene considerato ispiratore della religione stessa, nelle manifestazioni che rivolge a qualche profeta, il quale a sua volta trasmette il messaggio ai fedeli.

Esistono molte religioni con diverse varianti, come esistono molte lingue con diversi dialetti. L’uomo ha imparato a comunicare con Dio in modi che sono dipesi dalla sua cultura, dall’ambiente in cui è vissuto, dall’esperienza che ha potuto provare e dai segni che è riuscito a cogliere. Attraverso la religione ha avuto le risposte alle sue domande esistenziali ed ha imparato, attraverso il trascendente, a vivere pienamente l’immanente (ciò che, al contrario, è tangibile e terreno).

IL MISTERO

Dio sicuramente è un grande mistero che l’uomo ha sempre indagato e sempre indagherà, non è possibile dimostrarne scientificamente l’esistenza, ma nemmeno l’assenza.

In molti dicono di aver visto qualche segno, miracolo o apparizione, di aver provato qualcosa di interiore, di essere stati aiutati dalla provvidenza, ma restano in genere esperienze individuali o di piccolo gruppo, che spesso non è possibile condividere pienamente con gli altri, se non attraverso il racconto e quindi la fiducia.

Ci sono in realtà segni inequivocabili e visibili a tutti come i miracoli, ma attribuirli a Dio fa parte di un discorso basato sulla fede. Gli atei dicono che è semplicemente qualcosa di inspiegabile come tanti altri aspetti della nostra esistenza.

Chi crede solo in ciò che vede (con gli occhi) non può credere in Dio, a meno che non assista a qualche evento eclatante che ne provochi la conversione. Dio infatti non si mostra quasi mai in maniera percepibile ai cinque sensi, ma ha altre modalità di comunicazione.

LA FEDE

Mi piace pensare che la fede sia “la fiducia che ho in Dio”.

La fiducia è qualcosa che deve basarsi su un’esperienza vissuta in prima persona. Non posso fidarmi del primo che capita, ma posso scegliere di farlo con qualcuno che conosco da tempo e che mi ha dato prova della sua rettitudine o del suo impegno nei miei confronti.

Come fidarsi allora di Dio se non lo si vede, se non lo si conosce?

Non posso fidarmi del primo che capita, ma se una persona di provata fiducia me la indica come affidabile, allora si attiva la proprietà transitiva e posso accettare. Spesso la fede nasce così: si trasmette in famiglia, attraverso le relazioni più profonde. Da piccoli si impara a pregare, si può prendere fiducia, si alimenta la conoscenza secondo la propria religione. Ma non può esserci fede se non è basata su un’esperienza diretta, proprio come per la fiducia.

Non saprai mai se ti puoi fidare pienamente di una persona finché la conosci bene e non le dai il modo di dimostrartelo, così non potrai avere mai fede se non dai la possibilità a Dio di mostrarsi a te e non cerchi di conoscerlo.

CONOSCERE DIO

In genere la religione si tramanda di generazione in generazione, in famiglia, attraverso l’istruzione e la cultura, ma in fondo ognuno ha la sua, ha il suo modo di credere e comunicare con Dio, ogni uomo e ogni donna di questo mondo ha il proprio percorso di fede.

Conoscere Dio significa cercarlo e studiarlo, ma anche averne fiducia. Può essere sufficiente un momento, o non bastare tutta la vita, ma credo che la ricerca di Dio sia fondamentale per la nostra esistenza. Dio si manifesta, tranne in rari casi, solo a chi ha fede e si mette in gioco rendendosi disponibile al dialogo con lui.

28 ottobre 2006

COMUNICARE: CHE FATICA! - 1


GALILEO E IL GRANDUCA

Quando Galileo, osservando le oscillazioni del pendolo, fece la grande scoperta, per prima cosa andò a dar la notizia al Granduca.

Eccellenza – gli disse – ho scoperto che il mondo si muove.
Ma davvero? – fece il Granduca, meravigliato e anche un po’ allarmato. - E come l’avete scoperto?
- Col pendolo.
- Accidenti! Colpendolo con che cosa?
- Come, con che cosa? Col pendolo, e basta.
- Ho capito. Ma colpendolo con che cosa? Con un oggetto contundente? Con un’arma? Con la mano?
- Col pendolo, soltanto col pendolo.
- Benedetto uomo, ho capito. Avete scoperto che il mondo si muove colpendolo. Cioè, che si muove quando lo si colpisce. Bisogna vedere con che cosa lo si colpisce. Non potete averlo colpito con niente. E ci vuole un bell’aggeggio per colpire il mondo in modo da farlo muovere.
Il grande astronomo e matematico si mise a ridere di cuore.
- Eccellenza – disse, - ma voi credete che “col pendolo” vada legato con “si muove”. No. Va legato con “ho scoperto”. Col pendolo ho scoperto che il mondo si muove. L’ho scoperto col pendolo.
- Colpendo il mondo. Ho capito.
- Ma no, col pendolo. Col pendolo!
- Ma colpendo chi allora? E con che?
- Ma non colpendolo. Col pendolo!
- Che modo di ragionare! Non colpendolo, ma colpendolo!
Insomma, dovette scriverglielo su un pezzo di carta.

LA COMUNICAZIONE

Molto spesso mi trovo di fronte a situazioni in cui le persone non riescono a comunicare, o meglio ci provano, in parte riescono, in parte no. Si scambiano delle informazioni, ma una parte non capisce bene cosa passa dall’altra, ognuno interpreta a modo suo il messaggio dell'altro.
E’ assolutamente fondamentale nella vita saper comunicare, sia nel senso di inviare messaggi, che in quello di riceverli. Credo che su questo aspetto ci sia molto da ragionare, da capire, da… cambiare!

I QUATTRO ASSIOMI

Paul Watzlawick, psicologo, massimo studioso della pragmatica della comunicazione umana e delle teorie del cambiamento e del costruttivismo radicale, nel suo libro “Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi” (1967) riporta quelli che secondo lui sono i quattro assiomi della comunicazione umana.

1. Non si può non comunicare
Ogni comportamento, modo di essere o di vestire, ecc., comunica qualcosa, che è interpretabile dagli altri

2. Ogni messaggio è composto da contenuto e relazione
Il contenuto è quello che si vuole comunicare, ad es. “Ci vediamo domani alle nove di fronte alla pizzeria”. La relazione è il rapporto che c’è tra le due parti che comunicano e il modo in cui avviene la comunicazione.

3. Nella comunicazione umana è l’interpretazione di un messaggio che determina la reazione dell’altro
Il messaggio può essere lo stesso, ma in diversi casi può essere interpretato diversamente, per cui cambia la reazione di chi lo riceve.

4. Ogni messaggio contiene una parte numerica o logica e una analogica
La prima si riferisce a quello che si vuole comunicare, come messaggio, attraverso ciò che diciamo (comunicazione verbale). La seconda è composta da tutto ciò che non diciamo (comunicazione non verbale), ma contribuisce alla comunicazione (l’intenzione, l’emozione, il linguaggio del corpo, ma anche il modo di vestire ad esempio).
La comunicazione, secondo Watlzawick, è implicita nella persona, ed è come un gioco, il cui fine è quello di “definire se stessi”. Non possiamo “vedere quello che una persona ha in testa”, ma possiamo solo interpretarlo e conoscerlo attraverso la sua comunicazione. Probabilmente il modo di comunicare di una persona è quanto di meglio riesce a fare per esprimere se stessa.

Questi concetti di base possono aiutarci a comprendere meglio il nostro modo di comunicare con gli altri, purché ci rendiamo disponibili a metterci in discussione e a valutare eventualmente un cambiamento.

27 ottobre 2006

Obiettivo: DECRESCITA - 2



Ecco la seconda parte dell'articolo:

DECRESCERE

L’economia della crescita vede nei suoi obiettivi primari il progresso tecnologico, spesso considerato la soluzione ai problemi ambientali e sociali. In realtà sembra proprio che ne sia la causa. Infatti, la crescente quantità di materie prime ed energia necessarie alla società sono indice del fatto che il progresso può portare solo ad un deterioramento del pianeta: “se il progresso tecnologico da un lato rende l’utilizzo delle risorse più efficiente, dall’altro ne stimola un maggior consumo” asserisce Bonaiuti.
La disponibilità limitata di risorse non può che portare a conflitti tra i popoli: il fatto che la spesa militare sia la più alta al mondo ne è sicuramente dimostrazione e il continuo stimolo al consumo (la spesa per la pubblicità si trova al secondo posto) non ci farà certo cambiare direzione.

LA PROPOSTA

La proposta di questi economisti si chiama “decrescita”, che non significa crescita al contrario, ma una riorganizzazione del processo economico secondo modalità diverse da quelle attuali, che possano portare ad una società della pace, dell’equità e della sostenibilità ambientale.
Tutto questo è possibile attraverso l’inserimento di nuovi valori da sostituire a quelli che attualmente guidano le nostre economie. L’altruismo dovrebbe prevalere sull’egoismo, la cooperazione sulla competizione, la redistribuzione della ricchezza sul capitalismo.
“E’ necessario localizzare la produzione dei beni e ridurre la scala dei sistemi produttivi, riappropriarsi delle principali attività umane, come il lavoro, lo scambio, la salute e il sapere.
Un’economia della decrescita non può prescindere dal mantenimento e cura dei beni comuni, prima di tutto della biosfera (acqua, aria, territorio), valorizzando il capitale sociale e culturale.

DALL'INDIVIDUO ALLA SOCIETA'

Insomma, una vera e propria rivoluzione culturale. Non possiamo, però, illuderci di poter attuare questo cambiamento agendo solo a livello individuale o di piccolo gruppo: sebbene questo sia indispensabile e costituisca un buon cantiere per la decrescita, è necessaria e centrale anche una dimensione politica.
Purtroppo i programmi elettorali dei nostri politici vedono ancora la crescita come regina e non c’è traccia di questi nuovi concetti, continuando a pensare il Paese come una grande impresa, i cui profitti sono il primo obiettivo. Sicuramente, attraverso la decrescita, assomiglierebbe di più ad una famiglia, in cui la cooperazione e la condivisione,e non il profitto economico, sono considerati i cardini per il benessere di tutti.

Consiglio di approfondire attraverso i seguenti link:

http://www.decrescita.it
Movimento per la decrescita felice su Wikipedia

26 ottobre 2006

Obiettivo: DECRESCITA - 1


Riporto la prima parte di un articolo che ho scritto qualche tempo fa per il giornale "La natura e la città" (Macro Edizioni).


L’attuale sistema economico non è più in grado di migliorare la qualità della nostra vita. Anzi, la sta portando ad un peggioramento. Questa è la tesi che l’economista Mauro Bonaiuti, docente di economia presso le università di Modena e Bologna, espone nel libro “Obiettivo decrescita”, una raccolta di saggi contenente vari interventi di esperti del settore.

La ricerca del benessere è, o dovrebbe essere, alla base della società, del nostro lavorare, del nostro continuo darci da fare per accrescere i nostri guadagni, le nostre imprese, il nostro Paese, ma secondo Bonaiuti non siamo nella direzione giusta. Stress, mancanza di serenità, ansia, depressione sono sempre più le parole chiave del nostro vivere quotidiano. Il mondo è frenetico, la società sempre più basata sulla competitività: siamo continuamente provocati a consumare di più e bombardati da indici economico-finanziari incomprensibili alla maggior parte di noi. Il divario tra i più ricchi e i più poveri è in drammatico aumento, mentre la capacità della Terra di sostenere la produzione industriale e di assorbile i rifiuti ha raggiunto la soglia critica. Se questa è la realtà, allora è necessario cambiare, invertire la rotta. E questo partendo da noi stessi, dal nostro stile di vita, ma soprattutto dalla consapevolezza delle conseguenze dell’attuale sistema economico.

IL PIL

“Nonostante la crescita del Prodotto Interno Lordo, dei consumi e dei redditi degli ultimi decenni – scrive Bonaiuti - il benessere sociale, anche all’interno delle nostre società ‘ricche’, si va progressivamente riducendo”. Il Pil infatti indica il valore dei beni e dei servizi finali prodotti in una data economia in un anno. Un incremento di questo indice viene interpretato dall’ “economia ortodossa” come aumento del benessere o utilità del consumatore. Offre un’altra interpretazione in merito il saggio di Serge Latouche contenuto nel libro di Bonaiuti. L’aumento di Pil genera maggior potere d’acquisto, ma l’esperto ci invita a non dimenticare “di calcolare una serie di costi aggiuntivi […] legati al degrado, non sempre quantificabile, ma evidente, della qualità della vita (aria, acqua, ambiente): spese di ‘compensazione’ e di riparazione (farmaci, trasporti, intrattenimento) imposte dalla vita moderna, o determinate dall’aumento dei prezzi di generi divenuti rari (l’acqua in bottiglie, l’energia, il verde) […]”. Insomma è un arricchimento apparente.

IL GPU

Al fine di restituire un’immagine più aderente alla realtà, è stato inventato un indice chiamato GPI, Genuine Progress Indicator ovvero Indice di progresso autentico, che tiene conto di tutto questo e cerca quindi di quantificare in modo più veritiero il nostro benessere. L’aspetto interessante che Latouche sottolinea è che: “A partire dal 1970, negli USA, il GPI è stagnante o addirittura in regresso, mentre il PIL continua a registrare aumenti”. In Europa sta avvenendo lo stesso.

Continua...

25 ottobre 2006

Cambiamente!


Ciao a tutti!

Apro questo Blog per parlare di CAMBIAMENTI, CAMBIARE LA NOSTRA MENTE, CAMBIARE IL MODO DI VEDERE LE COSE.

Siamo stati abituati sin da piccoli a pensare in un certo modo... a credere certe cose... Cominciamo a mettere in discussione!

La scuola, la nostra cultura, i potenti, la comunicazione "ufficiale" dei media, i nostri stessi sensi occultano molte verità.

Ogni giorno faccio delle "scoperte" che in qualche modo cambiano la mia vita o mi fanno percepire che la giustizia è altrove.

Vorrei comunicarvi tutto questo e mi piacerebbe che interagiste con me e mi rendeste partecipi delle vostre scoperte o intuizioni!
Grazie per essere qui!

Pier


“Quello che vi dico nelle tenebre

ditelo nella luce,

e quello che ascoltate all`orecchio

predicatelo sui tetti

Mt 10, 27